Maggio 2025
“Oggi piove. Non salirà nessuno qui alla baita”.
Louis guardava attraverso i vetri, e con le dita disegnava cerchi sulla superficie umida. Ogni tanto lanciava un’occhiata fuori, per vedere se Pelo era sempre là, accovacciato sotto il tetto, con le gocce di pioggia che gli scivolavano giù per il naso.
A Louis non piacevano i giorni di pioggia, soprattutto quelli in cui le nuvole avvolgono tutto e sembra che non smetterà mai. Soprattutto quando gli veniva proibito di giocare fuori. Perché giornate così, lassù alla baita, erano infinite.
Mamma e papà invece avevano sempre qualcosa da fare. Per esempio preparare i biscotti e i tranci di formaggio da vendere ai turisti, intagliare grolle di legno, attaccare le etichette sulle bottiglie di grappa alla genziana…
I suoi genitori un giorno avevano deciso di abbandonare la città e di andare a vivere in quella baita isolata. Louis non frequentava nemmeno la scuola perché sarebbe stato troppo complicato arrivarci. Faceva “homeschooling”, come diceva la mamma. Per imparare, imparava. Ma va da sé che avrebbe preferito avere compagni in carne e ossa. Certo, di bambini in gita con i genitori ne arrivavano. Ma non sempre avevano voglia di giocare con lui. A volte magari anche solo per timidezza.
Anche lui del resto era timido. Così timido, che non aveva mai avuto il coraggio di dire ai suoi genitori che si sentiva solo.
Pelo era sempre là, non si muoveva. I suoi occhi dolci continuavano a fissare un punto lontano, verso il bosco.
Louis guardò di sbieco il grande orologio da parete appeso sopra la credenza: erano quasi le sei del pomeriggio.
Tra poco la mamma lo avrebbe chiamato a tavola, e poi in quattro e quattr’otto sarebbe arrivato il momento di andare a dormire. Non poteva lasciare da solo Pelo fino al mattino successivo.
Senza farsi notare, si infilò la giacca a vento e gli stivali di gomma, e sgattaiolò fuori dalla porta. Una folata di aria fredda carica di acqua lo investì. La pioggia cadeva di traverso, a scrosci. Per essere primavera, era davvero una primavera strana. Solo due giorni prima aveva nevicato.
Louis afferrò un bastone e iniziò a farlo volare in aria.
Lo lanciava in alto e poi lo riacciuffava.
Provava a usarlo come un fresbee, ma non riusciva a imprimergli la rotazione giusta. Il cane osservava Louis giocare con il bastone, aspettando ansioso di essere coinvolto.
“Sei pronto, Pelo? – gli urlò il bambino -. Questa volta dovrai correre più veloce del solito, perché farò un tiro lunghissimo. Forza… vai!”.
Louis continuava a lanciare il bastone e a incitare il cane. Lo prendeva bonariamente in giro: “Vecchio mio, questo tiro non è pane per i tuoi denti”.
Era un pezzo ormai che andava avanti così.
Saltava, urlava, completamente zuppo d’acqua e coperto di fango. Ma a un tratto si immobilizzò. Ritto, davanti alla porta della baita, avvolto in un poncho impermeabile da montagna, vide suo padre.
Lo stava osservando. Probabilmente da un po’. Ma non sembrava arrabbiato.
“Con chi stai parlando?”, gli chiese con voce tranquilla. Louis non rispose.
Il padre continuò: “Mi presenti il tuo amico Pelo?”.
Louis iniziò a farfugliare. Lacrime enormi iniziarono a scorrergli giù dalle guance. Ma il padre aveva capito tutto. Si avvicinò alla grande trave di legno che sporgeva sull’angolo della baita. Era stata la natura a scolpirla con quella forma affusolata che ricordava il profilo di un grosso cane. I nodi del legno le avevano disegnato addosso un grande occhio scuro e un naso appuntito. Il padre di Louis allungò una mano e fece una carezza a Pelo.
“Torniamo in casa, ora. Fa davvero freddo qui fuori. Ti prenderai un accidente, così bagnato”.
Quella sera Louis faticò a dormire.
Si era sentito smascherato, umiliato. Quel segreto che aveva custodito gelosamente per mesi era stato scoperto. Era stata scoperta la sua solitudine. Era stata scoperta la sua fragilità. Pensava che i genitori lo considerassero stupido e infantile. Quando la famiglia si era trasferita nella baita, la mamma si era opposta alla presenza di qualunque animale. “Sarebbe troppo impegnativo – aveva detto -. Non potremmo mai allontanarci da lì”. Louis naturalmente non aveva obiettato nulla.
La mattina non aveva proprio voglia di uscire dalla sua stanza. Se ne stava rincantucciato sotto le coperte fingendo di dormire. La pioggia continuava a battere sulle imposte. A volte è difficile essere bambini.
Era stato suo padre, ad aprire a un certo punto la porta della cameretta.
Sorrideva, ed era pronto per uscire: poncho e galosce. “Forza Louis, su da quel letto. Fai colazione in fretta e vieni fuori con me”.
Louis rimase un po’ interdetto. Non fece domande, come suo solito. Bevve d’un fiato la tazza di latte e si vestì veloce.
Il padre lo fece sedere sul sedile anteriore, accanto a lui, e allacciò la cintura di sicurezza.
Poi accese il motore e lo fissò ridendo: “Louis, ometto mio, oggi scendiamo ad Aosta. Si va al canile. Ieri sera ho dato un’occhiata al sito e ho visto che ci sono un sacco di simpaticoni in attesa di adozione”.
Testo di Paola Pignatelli
Fotografia di Walter Meregalli
Louis guardava attraverso i vetri, e con le dita disegnava cerchi sulla superficie umida. Ogni tanto lanciava un’occhiata fuori, per vedere se Pelo era sempre là, accovacciato sotto il tetto, con le gocce di pioggia che gli scivolavano giù per il naso.
A Louis non piacevano i giorni di pioggia, soprattutto quelli in cui le nuvole avvolgono tutto e sembra che non smetterà mai. Soprattutto quando gli veniva proibito di giocare fuori. Perché giornate così, lassù alla baita, erano infinite.
Mamma e papà invece avevano sempre qualcosa da fare. Per esempio preparare i biscotti e i tranci di formaggio da vendere ai turisti, intagliare grolle di legno, attaccare le etichette sulle bottiglie di grappa alla genziana…
I suoi genitori un giorno avevano deciso di abbandonare la città e di andare a vivere in quella baita isolata. Louis non frequentava nemmeno la scuola perché sarebbe stato troppo complicato arrivarci. Faceva “homeschooling”, come diceva la mamma. Per imparare, imparava. Ma va da sé che avrebbe preferito avere compagni in carne e ossa. Certo, di bambini in gita con i genitori ne arrivavano. Ma non sempre avevano voglia di giocare con lui. A volte magari anche solo per timidezza.
Anche lui del resto era timido. Così timido, che non aveva mai avuto il coraggio di dire ai suoi genitori che si sentiva solo.
Pelo era sempre là, non si muoveva. I suoi occhi dolci continuavano a fissare un punto lontano, verso il bosco.
Louis guardò di sbieco il grande orologio da parete appeso sopra la credenza: erano quasi le sei del pomeriggio.
Tra poco la mamma lo avrebbe chiamato a tavola, e poi in quattro e quattr’otto sarebbe arrivato il momento di andare a dormire. Non poteva lasciare da solo Pelo fino al mattino successivo.
Senza farsi notare, si infilò la giacca a vento e gli stivali di gomma, e sgattaiolò fuori dalla porta. Una folata di aria fredda carica di acqua lo investì. La pioggia cadeva di traverso, a scrosci. Per essere primavera, era davvero una primavera strana. Solo due giorni prima aveva nevicato.
Louis afferrò un bastone e iniziò a farlo volare in aria.
Lo lanciava in alto e poi lo riacciuffava.
Provava a usarlo come un fresbee, ma non riusciva a imprimergli la rotazione giusta. Il cane osservava Louis giocare con il bastone, aspettando ansioso di essere coinvolto.
“Sei pronto, Pelo? – gli urlò il bambino -. Questa volta dovrai correre più veloce del solito, perché farò un tiro lunghissimo. Forza… vai!”.
Louis continuava a lanciare il bastone e a incitare il cane. Lo prendeva bonariamente in giro: “Vecchio mio, questo tiro non è pane per i tuoi denti”.
Era un pezzo ormai che andava avanti così.
Saltava, urlava, completamente zuppo d’acqua e coperto di fango. Ma a un tratto si immobilizzò. Ritto, davanti alla porta della baita, avvolto in un poncho impermeabile da montagna, vide suo padre.
Lo stava osservando. Probabilmente da un po’. Ma non sembrava arrabbiato.
“Con chi stai parlando?”, gli chiese con voce tranquilla. Louis non rispose.
Il padre continuò: “Mi presenti il tuo amico Pelo?”.
Louis iniziò a farfugliare. Lacrime enormi iniziarono a scorrergli giù dalle guance. Ma il padre aveva capito tutto. Si avvicinò alla grande trave di legno che sporgeva sull’angolo della baita. Era stata la natura a scolpirla con quella forma affusolata che ricordava il profilo di un grosso cane. I nodi del legno le avevano disegnato addosso un grande occhio scuro e un naso appuntito. Il padre di Louis allungò una mano e fece una carezza a Pelo.
“Torniamo in casa, ora. Fa davvero freddo qui fuori. Ti prenderai un accidente, così bagnato”.
Quella sera Louis faticò a dormire.
Si era sentito smascherato, umiliato. Quel segreto che aveva custodito gelosamente per mesi era stato scoperto. Era stata scoperta la sua solitudine. Era stata scoperta la sua fragilità. Pensava che i genitori lo considerassero stupido e infantile. Quando la famiglia si era trasferita nella baita, la mamma si era opposta alla presenza di qualunque animale. “Sarebbe troppo impegnativo – aveva detto -. Non potremmo mai allontanarci da lì”. Louis naturalmente non aveva obiettato nulla.
La mattina non aveva proprio voglia di uscire dalla sua stanza. Se ne stava rincantucciato sotto le coperte fingendo di dormire. La pioggia continuava a battere sulle imposte. A volte è difficile essere bambini.
Era stato suo padre, ad aprire a un certo punto la porta della cameretta.
Sorrideva, ed era pronto per uscire: poncho e galosce. “Forza Louis, su da quel letto. Fai colazione in fretta e vieni fuori con me”.
Louis rimase un po’ interdetto. Non fece domande, come suo solito. Bevve d’un fiato la tazza di latte e si vestì veloce.
Il padre lo fece sedere sul sedile anteriore, accanto a lui, e allacciò la cintura di sicurezza.
Poi accese il motore e lo fissò ridendo: “Louis, ometto mio, oggi scendiamo ad Aosta. Si va al canile. Ieri sera ho dato un’occhiata al sito e ho visto che ci sono un sacco di simpaticoni in attesa di adozione”.
Testo di Paola Pignatelli
Fotografia di Walter Meregalli